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Il supermercato in Rete della fatwa perfetta

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Sul sito «Fatwa Online» (fatwa-online.com) è stata pubblicata una sentenza islamica contro i terroristi suicidi: «I responsabili di questi attentati hanno commesso suicidio, il che li condanna necessariamente alle fiamme dell’inferno», si legge nel post On Suicide Bombings. Tuttavia su un altro noto portale musulmano, Ask Imam, compare un verdetto opposto: «Soltanto l’estrema frustrazione può spingere a compiere attentati suicidi: l’azione è giustificata». «Fatwa Online» e «Ask Imam» (askimam.org) sono due esempi dei numerosi portali specializzati nella produzione e diffusione di sentenze islamiche, o fatwa. Tra i più popolari c’è «Islam Online» (islamonline.net): registrato in Qatar, impiega uno staff di oltre cento esperti, prevalentemente residenti in Egitto, e vanta tra le sue firme illustri lo sceicco Yusuf al-Qardawi, vicino ai Fratelli musulmani, una figura non immune dalle controversie in Europa ma che nel mondo arabo è considerato un’autorità celebre dell’interpretazione coranica.

«Quello delle fatwa elettroniche è un vero e proprio fenomeno», dice il sociologo Stefano Allievi, studioso dell’islam globalizzato. Rispetto ad altre confessioni, incentrate sull’ortodossia, l’islam pone un’enfasi particolare sull’ortoprassi, sull’agire correttamente. Ne consegue che la legge islamica, o Sharia, ha un impatto fondamentale sulla vita di ogni buon musulmano. Lo stesso vale, di riflesso, per il processo d’interpretazione dei testi (ijtihad) e per le sentenze emesse da esperti di giurisprudenza: «È una religione basata sui comportamenti, che a loro volta sono basati sulle fatwa», riassume il sociologo.

Non sorprende dunque che molti fedeli vadano alla ricerca non solo di modelli, ma anche di vere e proprie «direttive» laddove l’accesso al sapere è più immediato: il web. La maggior parte dei portali di fatwa funzionano secondo il criterio di domanda e risposta. L’utente, spesso sotto pseudonimo, sottopone il suo quesito: «È lecito chattare online con una persona dell’altro sesso?», «Posso fare amicizia con un collega di un’altra religione?», «È permesso ricorrere a una banca non islamica per un prestito, in caso di estrema necessità?».

Grazie all’anonimato, abbondano anche le domande su argomenti altrimenti imbarazzanti come: «Le mie tendenze gay mi stanno rovinando il matrimonio, come posso fare?», «Mio marito è porno-dipendente», «La ricostruzione chirurgica dell’imene è consentita?». Uno degli esperti risponde, e la sentenza viene archiviata in un database. La rapida accessibilità a questi inventari permette di approdare a una fatwa semplicemente digitando una domanda su un motore di ricerca: non c’è nemmeno bisogno di contattare un sito di specialisti, risponde (in)direttamente Google. Ma Internet non si limita a velocizzare la consultazione di opinioni islamiche. La Rete sta contribuendo alla «ridefinizione totale del concetto di autorità in materia di legge islamica», sottolinea Allievi. Che aggiunge: «Era un cambiamento nell’aria, ma il web ha agito come potenziometro». Questa ridefinizione avviene su almeno tre livelli: la verificabilità dell’autorità religiosa in un contesto dove quasi chiunque può spacciarsi per esperto; la facilità con cui l’autorità religiosa può essere criticata pubblicamente dalla gente comune tramite forum e social network; e infine la libertà con cui i fedeli possono scegliere quale autorità seguire, indipendentemente dal contesto geografico, seguendo le preferenze personali.

Partiamo dal primo punto. Già un decennio fa nel saggio Islam in the Digital Age, il teologo Gary Bunt, docente all’Università del Galles, metteva in guardia contro la proliferazione dei sedicenti giuristi islamici, che talvolta emettono fatwa senza avere compiuto gli studi necessari. Ma, piaccia o no, è una realtà con cui devono fare i conti anche i leader religiosi più affermati: «C’è una nuova ecologia mediatica, dove le autorità islamiche tradizionali devono contendersi l’audience con i “muftì del web” e con predicatori carismatici che hanno una forte presenza in tv e online», osserva Vit Sisler, docente di Studi dei nuovi media alla Charles University di Praga e direttore della rivista «CyberOrient».

L’esposizione delle fatwa alla disanima della gente comune, invece, da un lato ridimensiona lo status degli esperti giuridici, e, dall’altro, dà luogo alle interpretazioni personalizzate della legge coranica. Le fatwa infatti non rimbalzano soltanto sui siti dei dottori della legge: si diffondono su forum, mailing list, chat room e social network. «Mai come oggi le fatwa sono state contestate pubblicamente», dice Sisler. Online tutti hanno l’occasione non solo di criticare una sentenza islamica, ma anche di esprimere un’opinione alternativa: «Internet è un megafono per l’ijtihad individuale — aggiunge Bunt — e il confine tra giuristi e semplici musulmani è sempre più sfumato».

Forse il cambiamento più epocale sta nella possibilità da parte dei fedeli di scegliere quale esperto di legge coranica seguire: il riferimento non è più l’imam del villaggio o del quartiere, ma una figura che può essere selezionata senza vincoli geografici, in base alle preferenze del singolo musulmano. «Da Parigi posso consultare un esperto che sta in Libano e viceversa», dice Allievi. Il risultato è una giurisprudenza islamica più globalizzata, ma anche una libertà maggiore del fedele nei confronti dell’autorità religiosa.

Non solo. Grazie agli immensi database consultabili con un clic, un musulmano può scandagliare il web fino a quando non scova il verdetto più consono alle sue aspettative.

Bunt lo chiama «lo shopping della fatwa», quasi che il web fosse un gigantesco supermercato della giurisprudenza islamica: se l’opinione di un esperto non mi piace (o non mi fa comodo, aggiungerebbero i maligni), in pochi minuti posso trovare una sentenza che dica l’esatto opposto, come dimostra il caso dei due verdetti sugli attentati suicidi che si contraddicono a vicenda. Il risultato, paradossalmente, è che l’accessibilità degli archivi ridimensiona il potere da parte delle autorità tradizionali di dire ai fedeli cosa fare o non fare. «Il sistema — dice il teologo — è stato in parte sovvertito».
Twitter @annamomi

Anna Momigliano

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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